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TORINO 2011 – Testimonianza di un “ex-dormiente”

TORINO 2011 – Testimonianza di un “ex-dormiente”

 

 

Rientrato stabilmente in Valtellina, l’anno scorso alcuni amici alpini mi hanno scosso da una certa sonnolenza  ( sonno profondo, a loro detta).

Li devo ringraziare per il risveglio che mi rende piacevole rievocare la lontana esperienza di vita  militare, che mi fa ritrovare o scoprire persone di straordinaria capacità organizzativa ed operativa, che mi fa conoscere l’Associazione (bravo Alberto, e prima Ettore!), le sue ottime espressioni (bravo Marino!) e il mio Gruppo (bravi Giacomo & Pierluigi!), che mi fa apprezzare tutto ciò che, con qualche approssimazione, intendo per “cultura alpina”.

E’  stata quindi attraente la partecipazione all’adunata di Torino.

Viaggiando in autostrada verso l’appuntamento e contando le auto ed i pullman con esposto il manifesto dell’adunata, pensavo alle precedenti occasioni perse e mi consolavo un poco per aver più di una volta delegato alla partecipazione mia madre, quando ancora era vegeta, che ne era orgogliosa e soddisfatta.

A Torino il mio Gruppo (Ponte, con alcuni ospiti di Chiuro) ha realizzato una esemplare soluzione logistica da campo nella zona periferica  Le Vallette, con l’instancabile Rosanna regista di uno straordinario vettovagliamento: roba da ricordare e replicare anche extra-adunata.

Ma non vado oltre nel descrivere vivacità e  folklore di questi momenti conviviali, delle iniziative collaterali, del girovagare protagonisti in città, degli allestimenti e dei personaggi speciali che si incrociavano nella moltitudine; dico solo della sfilata, perché  quello è il momento nel quale la “cultura alpina” viene espressa con la massima partecipazione da chi ne è in possesso e viene colta con curiosità ed interesse da chi non la conosce.

Avendo in consegna lo zio Berto, vecchio alpino con passo assai precario, mi sono piazzato con lui  in una postazione lungo il percorso, in piazza Castello, dove per un paio d’ore abbiamo seguito lo scorrere  della sfilata appoggiati alle transenne, comuni spettatori.

Proprio lì ho lasciato che le mie emozioni fossero contaminate dalle voci, dagli applausi e dai commenti della gente che mi premeva alle spalle per vedere meglio quei volti cordiali e sudati sotto il cappello, quelle camicie di flanella a quadrotti variopinti, quei motti sugli striscioni verdi, quelle sgargianti tute della Protezione Civile.   Molti spettatori allungavano la mano oltre le transenne nel gesto rituale che i tifosi compiono con i loro idoli dello sport o dello spettacolo, per ricevere un tocco;  a loro rispondevano con la mano rugosa gli alpini della file esterne del corteo, alcuni arrossendo di modestia e di imbarazzo.

Per qualche minuto mi sono ritrovato tra le gambe due bimbetti con gli occhi a mandorla che leccavano il tondino zincato della transenna nell’indifferenza dei genitori, impegnati a filmare con maestria la sfilata, le cui immagini raggiungeranno così chissà quale angolo dell’Asia!

Ma gli sguardi di simpatia per chi aveva il cappello alpino in testa si percepivano anche fuori dal cuore della manifestazione, addirittura tra le bancarelle del  mercato permanente di Porta Palazzo, macedonia etnica di ambulanti e clienti.

Tutto ciò mi convinceva della forte e positiva relazione di scambio di valori e di ideali tra la cultura alpina e la società civile, la collettività, anche in fasi storiche di turbolenza e di complessità come l’attuale. Relazione che può essere utilmente coltivata, oggi che l’esperienza militare diretta è vissuta solo da professionisti volontari, tramite iniziative di informazione e di apprendimento rivolte ai giovani , peraltro in qualche misura già praticate dalle Forze Armate.( “ Vivi le Forze Armate”)

Si può quindi essere ben d’accordo con  chi, come Alberto Del Martino, auspica che tali iniziative abbiano  maggior peso e durata, e sia loro attribuita più ampia enfasi, così come avviene per altre opportunità  di stages formativi, talvolta caratterizzate da impegno modesto e da esiti conseguenti (ad esempio le “gioiose vacanze” Erasmus). Sarebbe, per la cultura alpina, una buona contromisura all’inesorabile e sereno affievolimento dei suoi testimoni di un’epoca.

 

Saverio

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