La Val Codera nella Seconda Guerra Mondiale
Ricordare la storia per non dimenticare e non doverla più ripetere: la Val Codera nella seconda guerra mondiale.
Ricordi della mamma e del nonno di Roberto Paieri
RICORDARE LA STORIA PER NON DIMENTICARE E NON DOVERLA PIU’RIVIVERE: LA VAL CODERA NELLA SECONDA GUERRA MONDIALE
Ricordi della mamma e del nonno di Roberto Paieri
Mia madre Angelina, mi racconta spesso della sua vita da bambina nell’incantevole Novate Mezzola e nella solitaria incantevole Val Codera, i suoi cari monti, dove “alpeggiava” con i suoi animali. Lassù vi trascorse ogni anno il periodo estivo con la transumanza del bestiame, insieme ai suoi genitori e fratelli,svolgendo la dura e bellissima vita da pastore. Tra le cime incantevoli del pizzo Gruf, Cima Lavrina, Punta Bresciadiga arrivò anche qua il periodo buio della Seconda Guerra Mondiale, voluta nel giugno 1940 dal Partito Nazionale Fascista Italiano! Angelina aveva appena quattro anni e dovette affrontare gli anni più belli dell’infanzia con la paura, l’incertezza del domani, stati d’animo e pensieri difficilmente da immaginare oggi. Durante quegli anni i fascisti dilagarono con violenza anche tra le nostre montagne e Contrade Alpine.
Io per ragioni anagrafiche non l’ho conosciuto il Nonno, ma mia madre spesso ci racconta di lui a me e ai suoi nipotini. Suo padre,Nonini Luigi Albino classe 1887, reduce Alpino della Prima Guerra Mondiale, anzi della Guerra Bianca in Adamello, inquadrato nel Battaglione Val d’Intelvi e poi nel Battaglione Morbegno, dove per la “Gloria” della Monarchia dei Savoia e del Duce, trascorse ben 45° mesi al fronte, lassù sull’Adamello in prima linea, sospeso tra la vita e la morte. Sempre in prima linea fu decorato per il suo ardire sul Pian di Neve, sulla Cima Fumo, in Val di Genova e sui Montozzi della Sella del Tonale. Tornò a casa vivo grazie alla fortuna e alla sua tempra di uomo di montagna, ma lacerato nell’anima… non parlo mai di cosa patì sulle rocce e nella neve dell’Altare della Patria… e ne evitava solamente il pensiero. Ma arrivò, aimè, anche la Seconda Guerra Mondiale e chissà il Nonno cosa penso! Cosa poteva suscitare questa sciagurata azione umana nel suo gentile animo di contadino e di scalpellino… “ci risiamo con la follia dell’uomo… i mascalzoni di politici ci mandano a morire di nuovo”; ma lui fu fortunato e perla sua età non ripartì di nuovo, rimase a crescere i suoi cinque figlicon la sua amata moglie Elisabetta Emilia Nonini.
La vita di mia madre trascorreva a Mezzolpiano tra la vita famigliare, i campi da coltivare, nella stalla ad accudire le sue belle Brune Alpine e lo studio alla scuola elementare “giù” in paese a Novate Mezzola, che si raggiungeva a piedi e nei duri inverni di allora slittando, su un tronco di legno ben lavorato a modo di slitta; questo era uno dei pochi divertimenti dei bambinidi allora, ma atteso ogni anno.
Nella sua piccola contrada vi erano le ronde dei fascisti e dei nazisti, che gli apparivano, da innocente bambina com’era, degliomoni vestiti di grigio verde, degli orchi di un altro mondo, che urlavano una lingua sconosciuta (il tedesco) e incutevano tanta tanta paura. Si presentavano nell’uscio di casa per scaldarsi e appropriarsi di un tozzo di pane, di un piatto di minestra, in quella miseria chiamata guerra e tutti stavano zitti!
Mio Nonno un giorno dovette fuggire da casa e riparare sulle cime dei monti perché lo accusarono di detenere delle armi in una cassa di legno, ma erano solo i ferri del mestiere di scalpellino che nelloscuotere rumoreggiavano un eco metallico, ma allora ogni scusa era buona per fare la pelle a qualcuno.
In questa continua paura passarono gli anni e si giunse all’estate dell’anno 1943 dove come di consueto nella millenaria storia contadina, i mesi più belli e fecondi si Alpeggiava a Bresciadega tra il verde, i fiori e le stelle alpine, sotto a un terso cielo blu e le cime perennemente innevate. Un giorno di agosto giunse in Valle Codera una compagnia di nazifascisti che stavano effettuando un rastrellamento armato contro i valorosi partigiani presenti su quelle montagne. Non trovando i partigiani, rifugiatesi sui picchi più impenetrabili, fecero sgomberare per vendetta, con le armi in pugno, tutta la Valle Codera. Questo episodio mia mamma lo descrive come una deportazione… un disastro…..tutti in colonna …anziani, uomini, donne, bambini, animali… verso il fondovalle; con il loro gerlo poterono salvare solo poche cose utile e le più care, perché i “delinquenti” incendiarono tutto: baite, case, fienili,baracche e tutti muti se no ti attendeva una fucilata o il dirupo della forra del torrente Codera.
Si attese fino al 25 aprile del 1945 l’agognata liberazione, la pace,con tutti i campanili a festa per la fine della Guerra e del fascismo.Tutti poterono ripartire con la loro vita intrisa di valori di libertà, di fraternità, di eguaglianza. Tutti valori, oggi scontati, ma ammazzati dalla dittatura fascista ma che furono rivitalizzatidurante il periodo bellico con la lotta partigiana e non solo. Mia madre si sposo con Guido, mio padre, nel 1958 al Santuario della Madonna di Galivaggio e edificarono la loro famiglia a Nuova Olonio con i loro sei figli.
Nell’ascoltare questi episodi “da antologia di storia” da chi li ha vissuti sulla sua pelle mette i brividi, fa riflettere immensamente, ed è importantissimo averli raccolti, interiorizzati, affinchéricordandoli si possano tramandarli così come furono senza i revisionismi folli di oggi. Il ricordo è un’azione non scontata ma è un dovere verso le generazioni passate ed è imprescindibile per quelle future, sta tutto nelle nostre mani.
Purtroppo, nel Mondo serpeggia la terza guerra mondiale a pezzi,come l’ha definita Papa Francesco. Essa è inaccettabile, ingiustificabile e mina il futuro dell’umanità, dei nostri figli. Per questo è fondamentale parlare di PACE, sempre e ovunque. Credo che solo il ricordo di ciò che la nostra terra subì durante nei ben due conflitti mondiali possa riattivare un nuovo percorso di fratellanza tra i popoli. Gli Alpini che per natura sono portatori di PACE, si impegnino per chiederla e pretenderla ai nostri governanti senza vie di mezzo.
L’Alpino Roberto Paieri